“Bambinello dolce dolce io ti vengo ad abbracciare, porto latte miele e noci, camiciole pomi e fiori”. Aspettando il Natale…

Un mattino di tanti anni fa, mentre mi accingevo al rituale della barba, ancora assonnato ma con le guance già piene di schiuma, osservandomi allo specchio per evitare eventuali tagli, improvvisamente mi resi conto di come il tempo fosse “volato”. Fu quello il momento in cui realizzai, che da allora in avanti, il tempo rimastomi da vivere pur quanto lungo potesse ancora essere, non avrebbe mai potuto eguagliare , in anni, il già vissuto. Confesso che in un primo momento rimasi sconcertato. Non avevo mai, dico mai, avuto pensieri simili, però ebbi anche la certezza che, da quel momento avrei vissuto intensamente qualsiasi accadimento: Passato – rispolverando ricordi. Presente – lasciandomi coinvolgere. Si avvicina ormai il tempo dell’Avvento (da Adventus cioè venuta), tempo di preparazione al Natale. Tempo importante perché, non è solo come qualcuno cinicamente asserisce, memoria di un avvenimento risalente a circa 2000 e rotti anni fa bensì, per il credente, tempo d’attesa e speranza che si compiano i giorni della salvezza. L’attesa del personale incontro con l’Emmanuele (Dio con noi).   “Bambinello dolce dolce io ti vengo ad abbracciare, porto latte miele e noci, camiciole pomi e fiori. Bambinello dolce dolce io ti vengo ad adorare, il mio cuore canta e dice che tu sei il Salvatore”. Questo il ritornello, che intercalava strofe di cui purtroppo ho cancellato memoria tranne: “Ti ringrazio Madre santa che mi hai dato il Redentore”. Era la nonna che, per tutto il mese di dicembre ogni sera, mentre intenta a sferruzzare, canticchiava questa nenia. Noi bambini silenziosissimi attorno a lei ascoltavamo e, sempre sempre, quando smetteva ad unanime richiesta: Ancora, ancora. Non molte settimane fa, zippando (che brutto termine) da un canale televisivo all’altro, mi sono imbattuto nella replica di un programma di cucina. Incuriosito ho ascoltato con attenzione e, devo dire che, ciò che mi ha veramente colpito sono state le parole pronunciate dalla conduttrice in conclusione del programma: “Perché la cucina delle nonne, la cucina delle mamme, se non te la fai raccontare non la mangi più”. Oggi che la mia nonna non c’è più, la mia mamma non c’è più, posso dire con amarezza: E’ vero.

In occasione del Natale, la mia mamma preparava un dolce particolare di cui conosco gli ingredienti ma non le dosi, ne ricordo però la lunga preparazione: Castagne messe a lessare, poi sbucciate, schiacciate, ridotte in fine purea a cui incorporava zucchero e cacao. L’impasto ottenuto travasato in uno stampo foderato di biscotti inzuppati nel brandy. Il giorno di Natale, e comunque sempre dopo 24 ore di frigo, la mamma capovolgeva lo stampo in un piatto da portata e ricopriva il dolce, con della bianchissima corposa panna montata rigorosamente a mano. Per noi allora bimbi e forse non solo per noi, quel dolce concretizzava il sapore del Natale. Noto come da alcuni anni all’approssimarsi di dicembre, sempre con più insistenza, vengano pubblicati articoli che evidenziano o mettono in dubbio l’attuale validità di festeggiare il Natale negli spazi pubblici, suggerendo poi, di confinare questa festività in ambito esclusivamente ecclesiastico o familiare. Il motivo? La laicità dello Stato. Il tutto ovviamente infarcito di buone intenzioni e con vocaboli tipo “multiculturalità”, “interculturalità”. Sono certo che qualche nonna di ieri, la mia sicuramente, avrebbe detto: “O Signor gh’è rivà n’a nòva malatia”. Ma le nonne di chi appartiene alla mia generazione non ci sono più. I bambini di oggi, i ragazzi di oggi, sono i figli, quando non i figli dei figli dei pronipoti di quelle nonne. Sono bambini, ragazzi, ma domani uomini e donne a cui è affidato il compito di affrontare le sfide del futuro. Allora io mi chiedo: E’ giusto togliere loro la “magia” del Natale? La gioia che solo questa festa d’attesa, con il suo ricchissimo bagaglio di storia e tradizioni è in grado di dare? E’ giusto privarli di quel legame che ha fatto nascere arte, cultura, stimolato conoscenza, dato identità? Spesso mi pongo queste domande, a cui non riesco o forse non voglio dare esplicita risposta. Sono certo però che, come ho già avuto modo di scrivere: “Chi dimentica il passato non ha futuro”, o quanto meno fa fatica a trovare identità. Voglio però chiudere queste mie riflessioni, con una nota di gioiosa speranza: “Bambinello dolce dolce io ti vengo ad abbracciare, porto latte miele e noci, camiciole pomi e fiori”.

A tutti BUON NATALE.

Luigi Roberto Barion