Domenica del Cieco

pubblichiamo il testo dell’omelia di mons. Emilio a commento del vangelo odierno (Gv. 9, 1-38)

Mentre sta camminando per le strade di Gerusalemme, Gesù s’imbatte in un cieco dalla nascita, un uomo che si è ormai rassegnato al suo male. Non fa più niente per vincere le tenebre fuori e dentro di sé. Se ne sta lì e basta. Del resto, che cosa volete che faccia? Giace nelle “tenebre” da quando è nato. Per questo diventa un simbolo: quel cieco, totalmente impotente, può raffigurare l’uomo che non ha ancora incontrato Gesù Cristo, l’uomo senza Cristo.  Gesù fa del fango con la saliva, lo spalma sugli occhi del cieco, e gli dice di andare a lavarsi alla piscina di Siloe. Il cieco va, si lava e torna che ci vede.  Poi il brano si sofferma a lungo, in modo dettagliato su ciò che accadde dopo la guarigione di quell’uomo, cieco dalla nascita.

 Quelli che conoscevano quell’uomo cieco e l’avevano visto prima seduto a mendicare, e ora lo vedono guarito dalla sua cecità, dubitano che sia proprio lui, il cieco guarito. Lui dice “Sono io” e cerca di spiegare come è stato guarito, da un “uomo che si chiama Gesù”. Ma loro continuano a dubitare e lo conducono dai Farisei, le guide religiose del tempo. I Farisei induriscono il loro cuore e si rifiutano di riconoscere la guarigione del cieco nato. Invano il cieco guarito cerca di spiegare ripetutamente quel che è accaduto e come era stato guarito. I Farisei, che non erano affatto disposti ad ammettere quella guarigione, chiamano i genitori del cieco nato.  I quali a loro volta hanno paura di prendere posizione e si limitano a dire: “Sì, questo è nostro figlio, era cieco, ma come mai ora ci veda non lo sappiamo. Chiedetelo a lui, ha l’età”.  “Avevano paura”. – si dice- “di essere espulsi dalla sinagoga”.

Noi siamo sorpresi, perfino scandalizzati da questo atteggiamento di chiusura. Come è possibile che tutti costoro non riconoscano ciò, che certamente era un evento straordinario, mai visto, ma che era lì davanti a loro con chiara evidenza? La risposta è semplice. Tutti costoro, sia pure per motivi diversi, non erano pronti ad accogliere Gesù, la Luce del mondo. Il loro rifiuto di ammettere la guarigione di quel cieco dalla nascita era il rifiuto di accogliere Gesù, Luce del mondo.

Chi sono costoro? Carissimi, siamo inviatati a riconoscerci in loro. Non limitiamoci a condannarli, riconosciamoci in loro. Riconosciamo nella loro durezza di cuore la nostra durezza di cuore, nella loro resistenza ad accogliere Gesù, Luce del mondo, le nostre resistenze. Nella loro cecità la nostra cecità. Diamo alla nostra domanda un respiro ancora più ampio. Perché il mondo, questo nostro mondo trova, fa fatica ad accogliere Gesù?  Perché quando è venuto in questo nostro mondo Gesù è stato rifiutato dal suo stesso popolo, da quelli che contavano in quel tempo?

“La luce – dice Gesù nel Vangelo – venne in questo mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre della luce, perché le loro opere erano malvage” (Gv. 3,19). Chi è nelle tenebre è disorientato, va dove non dovrebbe andare, ed è portato a compiere malvagità, a cui si abitua e affeziona, e da cui fa fatica a staccarsi.

Noi abbiamo paura di accogliere Gesù, nel nostro cuore e nei nostri pensieri, perché Lui è la Luce che smaschera, mette a nudo le nostre malvagità. Preferiamo rimanere nella più “agevole” zona delle tenebre. Ci sembra più facile, meno doloroso. Ma è la Luce di Cristo, la Luce che è Cristo che ci rende liberi e ci dona la vera pace del cuore, la vera gioia.

Quale è il messaggio fondamentale del racconto della guarigione del cieco nato? Sta nelle parole, non riportate nel brano ascoltato, dette da Gesù ai Farisei al termine del racconto: Se foste ciechi non sareste peccatori, ma perché dite: noi vediamo il vostro peccato rimane. La vera cecità non è quella del cieco nato, che sa di essere cieco. Ma quella dei Farisei che dicono di vedere.

 Il cieco nato è il simbolo di ciascun uomo o donna che viene in questo mondo.  Si, questo è il nostro punto di partenza. La condizione dell’uomo che non ha ancora incontrato Gesù Cristo può essere descritta in vari modi, con varie immagini.  Una di queste è quella dell’ uomo che è cieco dalla nascita, è nelle tenebre. Non sa trovare la direzione, va a tentoni, inciampa, cade.

Però essere nelle tenebre non è la fine di tutto, non è la perdizione, lo sarebbe, ma non lo è perché c’è lui Gesù, che è venuto per coloro che sono nelle tenebre. Lo ha detto lui stesso. Io sono la Luce del mondo.  La guarigione del cieco nato ne è un segno meraviglioso.

Ciò che si richiede a colui che è nelle tenebre, è accogliere la Luce: Gesù. Ma non si può accogliere Gesù, se non si è disposti a fare verità su noi stessi, sul nostro rapporto con gli altri e non ultimo, anzi prima di tutto, sulla nostra visione stessa di Dio e della nostra relazione con lui. Ora tutto ciò comporta una conversione profonda del nostro modo di desiderare, pensare, agire; significa non preferire di stare rintanati nelle tenebre, dove in fondo ci siamo abituati a stare; e uscire in campo aperto dove non ci si può nascondere davanti alla luce della verità che smaschera le nostre ambiguità e interpella la nostra libertà  a prendere posizione, a fare scelte che richiedono di cambiare la direzione della nostra vita.

Ogni giorno, ogni istante Gesù ci vede, come quel giorno vide quel cieco nato, ha compassione di noi, ci ama, come ha amato quel cieco, e ci vuole guarire. Ma Gesù non intende guarirci senza di noi, senza rispettare la nostra libertà. Per questo la nostra guarigione non si risolve miracolosamente in un istante. ma richiede una vita intera, perché in noi ci sono tutte quelle resistenze ad accogliere Gesù. che abbiamo visto nei vari personaggi del brano evangelico.

Il tempo di Quaresima, che ricorre annualmente, è un momento particolarmente propizio in questo nostro camino di guarigione dalla nostra cecità iniziale. E nel tempo di Quaresima la Chiesa ci offre varie possibilità per intensificare questo cammino. Le conoscete. Tra queste una da sottolineare è il Sacramento della Confessione.

«Io, Signore Iddio, non ho nessuna idea di dove sto andando. / Non vedo la strada che mi sta davanti. / Non posso sapere con certezza dove andrò a finire. / Secondo verità, non conosco neppure me stesso / e il fatto che penso di seguire la tua volontà non significa che lo stia davvero facendo. Ma sono sinceramente convinto che in realtà ti piaccia il mio desiderio di piacerti / e spero di averlo in tutte le cose, spero di non fare mai nulla senza tale desiderio. / So che, se agirò così, la tua volontà mi condurrà per la giusta via, / quantunque io possa non capirne nulla” (Thomas Merton).