IL SINODO CHIESA DALLE GENTI E’ ORMAI AL TRAGUARDO

Circolano domande, ci si scambiano riflessioni, c’è chi ha organizzato anche più di una riunione di Consiglio, momenti di preghiera e incontri di formazione. Ha trovato comunità pronte, il percorso del Sinodo diocesano «Chiesa dalle genti», che vuole (ri)definire le modalità con cui annunciare il Vangelo e vivere la fede in una realtà sempre più multietnica.

Come la liturgia e la vita delle parrocchie riflettono l’immagine di una Chiesa universale, in cui Dio attira tutti i popoli a sé? Come e quanto avviene lo scambio tra le nostre comunità e i migranti? Quali sono le paure, e come invece riusciamo a valorizzare chi porta una cultura diversa dalla nostra? Queste alcune delle domande su cui sono stati chiamati a riflettere i Consigli pastorali, per poi restituire la “voce” di parrocchie e comunità alla Commissione di coordinamento.

Il Sinodo è ormai giunto alla sua fase finale. Il 23 settembre è stato prodotta la bozza delle Costituzioni, inviata a tutti i membri del Consiglio Pastorale Diocesano Presbiterale e Pastorale che trovate qui allegate. Queste sono il frutto di una larga consultazione sinodale svolta nella Diocesi. Ora è possibile introdurre emendamenti che possano ulteriormente migliorarla. Entro il 21 ottobre le modifiche andranno inoltrate tramite i consiglieri. Per il Decanato di Besozzo saranno inoltrate dal sottoscritto. Si apre quindi una fase di confronto che dovrebbe avere nel Consiglio Pastorale di Decanato del prossimo 15 ottobre il suo momento più significativo.

Per facilitare questo dibattito, ho prodotto una sintesi del documento, utile al fine di stimolare una riflessione da parte dei diversi attori della pastorale. Dal 22 ottobre gli emendamenti proposti verranno presi in esame dalla Giunta. Il 3 novembre il testo delle Costituzioni sarà sottoposto all’approvazione, articolo per articolo, dell’Assemblea sinodale e quindi consegnato all’Arcivescovo in occasione del pontificale di San Carlo in duomo, il 4 novembre.

Premessa (punto 1). L’attuale momento storico è interessato da cambiamenti profondi che impongono, inevitabilmente “un aggiornamento dei nostri stili pastorali alla luce del Vangelo” (1.1.1). I flussi migratori hanno modificato la composizione della popolazione, in aumento e variegata:  cattolici venuti da altrove, ortodossi presenti a vario titolo nelle nostre comunità, musulmani e genti di una molteplicità di tradizioni culturali diverse hanno portato con se “nuove esperienze e visioni del mondo “, destinate a “segnare le nostre relazioni ed il rapporto tra le culture e i popoli” (1.3.4). Il Sinodo è stato il tentativo di prendere coscienza di queste trasformazioni e, nel contempo, l’occasione per la diocesi di mettersi in un ascolto per  “restare fedele al suo volto di Chiesa […] dove «non c’è né giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero » (Gal.3,28).

I lavori del Sinodo, giunto oggi alla sua fase finale, sono stati come un lungo e intenso “cammino di ascolto   e di discernimento” che ha permesso di conoscere esperienze già orientate dalle trasformazioni in atto e capaci di rispondere ai bisogni e alle urgenze insorte (1.4.4). Il documento prodotto si propone di sostenere e dare un seguito a questi tentativi, offrendo linee di intervento tese “a far maturare in tutto il corpo ecclesiale la giusta sintonia nei confronti dello Spirito che ci vuole oggi, qui nelle terre ambrosiane, Chiesa dalle genti” (1.5.1.). L’invito è pertanto “a rinnovare la nostra mentalità, […] a uscire da noi stessi e a riconoscere in tutti un fratello e una sorella  per i quali il Signore Gesù ha dato la vita su quella croce dalla quale non smette di attirare tutti a sé” (1.5.3.).

Parte prima (punto 2). Innanzitutto siamo chiamati ad adottare un nuovo metodo: “La Chiesa dalle genti è una Chiesa dove non basta ‘fare per’ ma dove diviene essenziale apprendere a ‘fare con’; non basta ‘fare’ tante opere a favore dei migranti, quanto piuttosto imparare ad ‘essere’ con loro, costruendo una nuova soggettività, frutto del riconoscimento reciproco e della stima vicendevole” (2.2.2).  Ora, esistono già alcune realtà esemplari da questo punto di vista, come i nostri oratori (specie nei momenti estivi), come le comunità internazionali religiose di vita consacrata … o, uscendo nei mondi extra-ecclesiali, la scuola … laboratori tutti di “buon vicinato”, luoghi di “un’apertura che si traduce in esposizione all’incontro, curiosità e amicizia, attesa di poter fare qualcosa insieme” (2.2.3). In sintesi, il cammino sinodale ci chiede di fare nostro  lo stile dell’incontro e della relazione (2.2.6), a cominciare dagli organismi di partecipazione quali i consigli pastorali ai vari livelli, le consulte e le commissioni (si vedano a questo proposito il punto 2.3 e il punto 2.4, quest’ultimo dedicato ai nuovi compiti del decanato).

Parte seconda (punto 3). Segue la proposta degli strumenti per consolidare il volto di “Chiesa dalle genti”. Ora, nell’ambito della trattazione delle cappellanie (che potremmo definire “parrocchie speciali”, costituite su base etnico-linguistica), si fa menzione delle possibilità di interazione e di integrazione offerte dai gruppi familiari e dai gruppi di ascolto (3.2.4; più diffusamente sui gruppi famigliari in 3.8.4). Nella trattazione dei cattolici di rito orientale, si sottolinea l’importanza di rispettare, “negli abituali cammini di iniziazione cristiana […] la peculiarità delle loro appartenenza” (3.3.5;  ma si veda anche 3.8. 1-3). Riprenderei qui anche le considerazioni fatte più avanti a proposito della liturgia, che deve “dare evidenza alla dimensione universale della chiesa cattolica” (3.7.1-2); e le considerazioni sulle devozioni della pietà popolare, con l’interessante suggerimento a valorizzare la Giornata mondiale per il migrante ed il rifugiato” (3.7.3-4). Si fa anche menzione del ruolo del Consiglio Pastorale della Comunità e di Decanato:  devono evitare che la presenza di stranieri dia vita ad “isole autoreferenziali” e, in positivo, adoperarsi per “costruire forme di fecondo scambio di vita e di fede” (3.2.4). Sono soltanto accenni, talvolta in un contesto che a noi può anche apparire estraneo. Ciò nondimeno pongono sollecitazioni valide anche in realtà come la nostra, dove comunque non mancano cristiani e cattolici di altri paesi, anche se non sono presenze organizzate e immediatamente visibili. Non pare pertanto inutile interrogarsi sulle chances di cui possono disporre questi organismi (gruppi famigliari, gruppi di ascolto, gruppo liturgico, percorsi di iniziazione cristiana, Consigli pastorali ai vari livelli) al fine di promuovere una nuova coscienza ecclesiale (imparare cioè a considerarsi come uno dei poli di una Chiesa davvero universale)  e civica (imparare a pensarsi come una città aperta e come cittadini del mondo).

Ordinata a tal fine è anche l’azione del gruppo missionario (si veda in particolare il punto 3.4), sollecitato in particolare a valorizzare la testimonianza di preti e laici fidei donum (persone inviate dalla nostra diocesi in terra di missione), per consentire alla comunità di conoscere “le visioni maturate presso altre Chiese”, il loro “modo proprio di vivere il vangelo”, allargando così gli orizzonti della mente e del cuore. Tali soggetti, così come i consacrati degli ordini religiosi (“laboratori di convivenza interculturale”, cui è dedicato il punto3.5), sono “autentici  mediatori culturali”.

La presenza nelle nostra comunità di religiosi provenienti da altri paesi e culture  può inoltre offrire un prezioso contributo per “capire problemi e risorse e indicare concreti percorsi di aiuto” a favore degli immigrati. Pertanto, si afferma, “ai membri non italiani della comunità di vita consacrata non vengano riservati ruoli residuali nell’azione pastorale […] qualche membro di tali comunità sia inserito in modo diretto e visibile nella pastorale, nell’animazione liturgica (portando la ricchezza della propria cultura e tradizione), nel mondo dell’educazione e della pastorale della salute” (3.5.5).

Non meno importante  è il ruolo di associazioni e movimenti (punto3.6), “che vivono una dimensione internazionale e interculturale”:  ” dispongono di cammini, strumenti di formazione, ed esperienze che vanno maggiormente conosciuti e condivisi, a favore di tutte le realtà ecclesiali diocesane”.  Si chiede loro di aiutare la comunità a sviluppare “cammini di corresponsabilità”, per promuovere una presenza cristiana “adulta” negli ambiti della vita civile e sociale, affinché sia sempre più “all’insegna del bene comune, della fratellanza universale e della giustizia sociale”.

Termina questa parte il discorso sull’ecumenismo  (3.9) ed il dialogo con le religioni (3.10).

 La presenza di cristiani ortodossi (come le badanti ad es.) è una sollecitazione a all’incontro ed al confronto con altre fedi che possono arricchirci. L’esistenza di una comunità luterana a Caldana ci stimoli ad intraprendere azioni di buon vicinato anche in questa direzione.

“A livello decanale ci si adoperi per attivare percorsi di conoscenza e di formazione al dialogo (3.10.2).  Per quanto attiene al confronto con i mondi islamici: “ai singoli e soprattutto alle comunità cristiane […] è chiesto di lavorare per costruire positivamente cammini di incontro e di reciproca stima, capaci di sottolineare il contributo che le religioni danno alla costruzione di climi di pace (3.10.3). Ci ” si attrezzi per […] fornire alle comunità strumenti per la conoscenza delle altre religioni e per realizzare cammini di incontro e dialogo”.

Parte terza (punto 4). Si trattano in questa parte quei percorsi utili al fine di stimolare “cammini di educazione alla fratellanza e alla solidarietà” o, per dirla con le parole dell’arcivescovo ” percorsi praticabili, persuasivi con l’intenzione di dare volto a una città dove sia desiderabile vivere”. (M. Delpini, Cresce lungo il cammino il suo vigore, Milano 2018, p. 35). Quello che viene indicato è soprattutto un compito culturale, di formazione delle coscienze, per  superare paure e sospetti, per abbattere muri e costruire ponti, e provocare in tal modo una trasformazione del tessuto sociale in cui sono inserite.

Tale opera si può avvalere di una molteplicità di istituzioni cui parrocchie e comunità pastorali possono attingere (si veda il punto 4.1.3-5). Particolare rilievo in tale contesto assumono gli insegnanti (di religione ma non solo) e la scuola (4.2), che “fa da apripista al bisogno di ripensare la presenza cristiana anche in tutti quegli ambienti (gli ospedali e i luoghi di cura, le carceri, i mondi del lavoro, i luoghi del consumo e le nuove piazze che le nostre società generano) in cui la società plurale ha bisogno della testimonianza di una Chiesa dalle genti”.

In ambito parrocchiale invece assume particolare rilevanza il ruolo della Caritas (4.3): si superi “la logica paternalistica e assistenziale che guarda i fratelli e le sorelle provenienti da altri paesi univocamente come destinatari di un servizio caritativo, portatori solo di bisogni primari. Si favorisca invece il rendere tutti protagonisti nell’aiutare gli altri […] si associno gli immigrati nella dimensione della solidarietà, coinvolgendoli, rendendoli partecipi della stessa tensione a cambiare la realtà intorno”. Ancora: “la carità diventi effettivamente cultura; l’azione e la formazione della Caritas, in particolare sui temi legati all’immigrazione, devono aiutare tutta la comunità ecclesiale ad un cambiamento di mentalità, a crescere in una cultura dell’incontro e dell’accoglienza”. “L’attuale clima culturale e politico chiede infatti di potenziare la dimensione educativa della carità: non è pensabile ridurre questa azione pastorale alla sola risposta ai piccoli o medi bisogni che ci sono posti nel quotidiano, senza aiutare i cristiani a intravedere le grandi questioni mondiali e i problematici scenari internazionali che stanno alla base della migrazione odierna”.

Infine si richiama “un nuovo forte investimento nella politica” (4.4): già il livello decanale si impegni ad organizzare momenti di sensibilizzazione e di prima formazione alla politica, invitando ad un reciproco ascolto e confronto i cristiani che operano nelle diverse Amministrazioni e negli Enti locali […]è im- portante che la comunità ecclesiale costruisca reti di collaborazione con le diverse figure amministrative (Municipi, Comuni, Province, Citta Metropolitana, Regione), secondo la logica del “buon vicinato” e avendo come scopo una sana collaborazione nella maturazione di una società plurale fondata sull’amicizia civica e sulla capacità di vivere insieme tra diversi”.

Conclusione (punto 5). ” … il Sinodo minore si conclude, ma il movimento di riforma che ha innescato deve continuare, come ci hanno chiesto gli ultimi due Pontefici in visita pastorale qui a Milano[1]“.

Filadelfo Aldo Ferri

[1] Nel 2012 papa Benedetto XVI ai milanesi riuniti in piazza Duomo ad accoglierlo aveva ricordato che «spetta ora a voi, […] impegnarvi per trasmettere alle future generazioni la fiaccola di una così luminosa tradizione. Voi ben sapete quanto sia urgente immettere nell’attuale contesto culturale il lievito evangelico». La terra dei santi Ambrogio e Carlo, […] è provocata e anche sfidata da un nuovo contesto culturale e sociale che non sempre favorisce l’incontro di popoli e di culture in una convivenza capace di accogliere e conciliare le differenze”.

Nel parco di Monza, papa Francesco il 25 marzo 2017 ci ha ricordato che «ci fa bene ricordare che siamo membri del popolo di Dio! Milanesi, sì, ambrosiani, certo, ma parte del grande popolo di Dio. Un popolo formato da mille volti, storie e provenienze, un popolo multiculturale e multietnico. Questa è una delle nostre ricchezze. E’ un popolo chiamato a ospitare le differenze, a integrarle con rispetto e creatività e a celebrare la novità che proviene dagli altri; è un popolo che non ha paura di abbracciare i confini, le frontiere; è un popolo che non ha paura di dare accoglienza a chi ne ha bisogno perché sa che lì è presente il suo Signore».