Ripresa e resilienza: queste le due parole d’ordine che caratterizzano il piano europeo per riemergere dall’incubo sanitario, economico e sociale, che l’emergenza Covid ha diffuso in questo 2020. Due parole che devono essere comprese e tradotte in azioni utili e concrete, affinché la grande occasione che viene offerta all’Italia non cada nel vuoto.
Nei prossimi anni l’Unione europea metterà a disposizione dei Paesi membri un ammontare di risorse mai sperimentato prima: il “Recovery and resilience facility” – meglio noto come “Recovery fund”.
Le richieste dei singoli Stati dovranno essere ben motivate. L’erogazione sarà soggetta a verifiche puntuali e rigorose.
Ora, il pericolo che si profila è quello di sprecare una simile occasione. È un pericolo reale. L’Italia degli ultimi decenni non si è contraddistinta come Paese esemplare. È infatti dagli anni ’70 che abbiamo sostanzialmente smesso di crescere.
Abbiamo accumulato ritardi che riguardano principalmente i fattori che determinano la produttività: il livello del capitale umano, la qualità delle infrastrutture, i ritardi della burocrazia, i divari territoriali.
Cosa significa allora “ripresa” per il nostro Paese? Sarà capace l’Italia di pensare in grande, di programmare, di avere una visione di lungo termine?
Servirebbe da subito un cambio di passo, dalla semplice amministrazione giorno per giorno alla politica più sincera, un cambio che deve interessare innanzitutto le due principali istituzioni politiche del Paese, parlamento e governo, ma che coinvolga poi anche le altre istituzioni e tutti coloro che hanno a cuore il futuro del Paese.
Nel corso dell’incontro saranno esaminate proposte e sollecitazioni già emerse nel dibattito di queste ultime settimane, numerose, ricche e autorevoli. Ci aiuteranno così a capire meglio come si possa immaginare un futuro sostenibile per il nostro Paese.
Cosa significa invece “resilienza”? In psicologia e a livello individuale, essa è la capacità di reagire e superare le difficoltà che incontriamo; un concetto, tuttavia, ancora da definire e coniugare a livello politico e sociale. Al contrario, è abbastanza evidente quale sia il contrario di resilienza, e cioè l’assistenzialismo: si tratta di una pratica ben diffusa nella storia della politica economica del nostro Paese e ancora oggi una forte tentazione, deprecabile in quanto utilizza risorse, preferibilmente fornite da altri (le generazioni future), non per risolvere un problema, bensì per mantenerlo, così da avere un’arma di ricatto elettorale sempre utile nelle proprie mani.
In ben altra direzione vanno i recenti richiami di personalità come Mario Draghi e il commissario Paolo Gentiloni, intervenuti sulla necessità di usare debito e risorse europee in maniera produttiva.
Il Paese che saremo anche solo tra pochi anni dipende in modo cruciale dalle scelte che stiamo per fare oggi. Il contributo di ciascuno di noi, intellettuali, organi di informazione, elettori e cittadini, sarà fondamentale.
Chi è Paolo Balduzzi?
È docente di Scienza delle finanze presso il Dipartimento di Economia e finanza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano) Questi i suoi interessi di ricerca: political economy, federalismo fiscale e finanza locale, disuguaglianza intergenerazionale, servizi pubblici.
Ha contribuito a libri e pubblicato articoli su riviste internazionali.
E’ stato membro della Commissione tecnica per la revisione della spesa guidata da Carlo Cottarelli per i capitoli di spesa sui costi della politica.
E’ stato Consulente tecnico per la Presidenza del Consiglio al tavolo delle trattative con le Regioni per la concessione di maggiore autonomia ex art 116 comma 3 della Costituzione.
Da novembre 2017 è editorialista presso “Il Messaggero”