San Giovanni Apostolo ed Evangelista
Pubblichiamo il testo dell’omelia tenuta a Gavirate da S. E. Mons. Paolo Martinelli, Vescovo Ausiliare della Diocesi di Milano, durante la celebrazione della Messa Solenne per il Santo Patrono, mercoledì 27 dicembre.
Carissimi e carissime,
siamo nel pieno della gioia del santo Natale in cui sentiamo risuonare l’annuncio sconvolgente della vicinanza di Dio alla nostra vita quotidiana: il Verbo si è fatto carne. L’Eterno è entrato nel tempo ed ha così santificato il tempo; l’Eterno si è fatto carne; ha santificato la carne, la nostra carne; l’umano è dunque la dimora del Divino. Per questo la gioia della nascita di Gesù prosegue lungo tutta questa settimana. La grandezza di questo giorno chiede almeno otto giorni per poter essere gustata e celebrata.
Dopo averci ricordato con la festa di ieri il carattere drammatico del Natale, attraverso la figura di santo Stefano protomartire – l’Incarnazione, infatti, chiede decisione e testimonianza fino al dono della propria vita – , oggi la liturgia ci porta a contemplare san Giovanni Apostolo ed evangelista, che è anche il santo patrono della vostra comunità. È un dono grande poter guardare a questo grande santo come punto di riferimento per la propria vita cristiana.
San Giovanni è uno dei primi discepoli di Gesù, il più giovane e forse per questo particolarmente caro a Gesù: egli viene identificato dalla tradizione con “il discepolo che Gesù amava”, espressione ricorrente proprio nel IV vangelo, che ha Giovanni per autore.
Anche il vangelo che è stato appena proclamato ci ha richiamato questa espressione. Gli esegeti del IV vangelo ci spiegano che questa espressione è al contempo riferita proprio a Giovanni, ma in un certo senso anche a ciascuno di noi, poiché di tutti noi Gesù vuole fare discepoli amati, che reclinano il capo sul suo fianco, che vengono introdotti ai misteri della vita divina, dell’amore di Dio, fondamento e destino di ogni cosa.
A dire il vero la Parola di Dio fa emergere il volto di Giovanni in riferimento a quello dell’altro discepolo, anche lui della cerchia più intima di Gesù: Pietro.
Il vangelo ci fa vedere bene il rapporto e anche la tensione tra queste due figure fondamentali della vita cristiana: quella di Pietro, segno della sequela di Cristo nelle circostanze impervie della fede lungo la storia, chiamato poi a guidare la Chiesa, nella consapevolezza del suo limite, ma anche nella certezza di essere perdonato dal Signore: Gesù stesso lo identifica con l’espressione “vieni” – “tu seguimi”. Questo è proprio l’espressione che Gesù rivolge a coloro che vuole coinvolgere nella sua stessa missione.
Pietro sembra volere sapere da Gesù qualcosa circa la sorte di Giovanni: che ne sarà di lui? La risposta di Gesù ha un valore fortemente evocativo: se voglio che lui rimanga…
Gesù, da una parte, conferma il primato di Pietro, di guidare la Chiesa nella storia, come colui che presiede della carità; ma dall’altra parte lo stesso Gesù sembra togliere da Pietro il controllo su Giovanni, che rappresenta invece nella Chiesa semplicemente l’amore, più profondamente l’amore che conosce, la conoscenza amorosa di Cristo. Giovanni è colui che Gesù introduce nella conoscenza dei misteri di Dio, del suo ineffabile amore.
L’autorità nella Chiesa – Pietro – serve l’amore, ma non lo deve controllare.
“Se voglio che lui rimanga” … dice Gesù: qui troviamo un’espressione che domina tutto il suo vangelo e che indica il legame tra i discepoli e il Maestro: “rimanere”. Indica il rapporto intimo, profondo, direi quasi ontologico (ossia non solo morale e di intenzione), ma il prendere parte veramente alla vita di Gesù e con lui alla vita stessa di Dio.
Tante volte troviamo nel vangelo di Giovanni questa espressione: “rimanere”. IL rimanere della vite e dei tralci, rimanere nel suo amore: lui in noi e noi in lui, come il Padre in Gesù e Gesù nel Padre; indica lo stare radicati nel mistero della comunione. Anche la prima domanda che i discepoli fanno a Gesù, la prima volta che lo incontrano sulle rive del fiume Giordano rimanda a questo termine: Signore dove dimori: dove rimani? Giovanni indica così la natura della comunione cristiana: il rimanere, l’essere innestati nella vita di Dio.
In tal modo, possiamo dire, mentre Pietro nella Chiesa rappresenta tutta la dimensione ministeriale, Giovanni invece manifesta il cuore di tutto, la comunione con Cristo, l’abisso della vita divina della Trinità a cui ci è dato per grazia di partecipare.
Quella comunione di cui lo stesso discepolo si fa messaggero e testimone nella sua lettera, che abbiamo ascoltato: Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita … quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi.
A nessuno può sfuggire il riferimento di Giovanni ai sensi che ogni uomo dispone per conoscere e percepire la realtà: in particolare Giovanni parla di udire, vedere, toccare. Il Discepolo amato parla dunque di una esperienza verificabile: se il Verbo di Dio si è fatto carne, vuol dire che non c’è rapporto con Dio che non passi attraverso la “carne”, cioè l’esperienza concreta di ogni giorno. San Giovanni ci ricorda che Dio non lo incontriamo nei nostri percorsi ascetici ma nella vita quotidiana ed in particolare nella comunione che nasce tra coloro che hanno fatto l’incontro con Cristo.
San Giovanni poi ci raccomanda di concepire questa comunione in termini reali, di persone umane, limitate, che devono essere consapevoli dei propri peccati e resistenze. Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità.
Il vero problema ci dice san Giovanni non sono i peccati ma è il non riconoscere che siamo peccatori, non riconoscere che abbiamo bisogno della misericordia di Dio. E la comunione diviene il luogo dove veniamo perdonati, purificati. Il metodo di Dio è la comunione tra noi.
Infine, san Paolo nella lettera ai Romani sottolinea come questa comunione si dilati attraverso l’annuncio e la testimonianza: Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati?.
Questo annuncio scavalca ogni confine: «Chiunque crede in lui non sarà deluso». Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato». Saremo dunque salvati dal male, da quel male che fa male, che ferisce la nostra umanità.
L’ultima Parola allora è l’importanza della missione e della testimonianza, essere inviati a portare a tutti quello che abbiamo visto e udito, perché si dilati a tutti la comunione.
Del resto proprio san Giovanni nel suo vangelo ha come parola centrale in riferimento alla vita di Gesù la parola essere inviati, mandati: Gesù è “il mandato”, “è la missione” del Padre; così noi per il dono dello Spirito Santo d’amore siamo chiamati a partecipare, ciascuno con la sua vocazione, alla missione di Gesù.
Essere una comunità che guarda a san Giovanni apostolo ed evangelista è dunque tanto impegnativo e tanto ricco di bellezza. Questa non può che essere una comunità di “discepoli-missionari” come ci invita ad essere papa Francesco: un mistero di comunione “in uscita”, una vita come vocazione, perché chiamati alla comunione, e una vita come missione, perché inviati a tutti.
Come papa Francesco stesso ci ricorda in Evangelii Gaudium: “La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare”.
Per l’intercessione di san Giovanni e di Maria Santissima, che Gesù stesso sotto la croce ha indicato come sua madre e madre nostra, ci sia dato di essere discepoli amati, appassionati testimoni per portare a tutti la gioia del vangelo, poiché è di questa gioia che il cuore di ogni uomo e di ogni donna ha bisogno per realizzare la propria umanità.