foto: Dionisio Zitti, presepe 2020 – Chiesa di Gavirate
Pubblichiamo l’omelia di don Maurizio a commento delle letture della quinta settimana di Avvento – in calce il testo della Novena di Natale
«In quel giorno, un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore…». Così abbiamo letto poco fa nella prima lettura tratta del libro del profeta Isaia.
La Parola di Dio oggi elogia ciò che è piccolo e fa una promessa, la promessa di un germoglio che spunterà. Che cosa è più piccolo, più fragile, più insignificante di un germoglio? Eppure su di lui si poserà lo Spirito del Signore. La rivelazione, la presenza di Dio nel mondo incomincia nella piccolezza. Le cose di Dio incominciano germogliando da un seme.
Questo vuol dire per noi che solo su un cuore umile può germogliare lo Spirito di Dio. La rivelazione di Dio comincia nella piccolezza. Piccolezza significa fiducia nel Signore, quindi capacità di rischiare. Ma vuol dire anche che il Signore si fida di ciò che è fragile. Lo Spirito sceglie sempre il piccolo perché non può entrare nel superbo, nell’autosufficiente, li i posti sono già tutti occupati.
La piccolezza porta alla magnanimità, ad avere un cuore grande perché ci fa capaci di andare oltre noi stessi sapendo che la grandezza la dà Dio. San Tommaso d’Aquino spiega come debba comportarsi un cristiano che si sente piccolo davanti alle sfide del mondo: “Non spaventarsi delle cose grandi, andare avanti; ma nello stesso tempo, tenere conto delle cose più piccole, questo è proprio di Dio”».
Introducendosi nel mondo attraverso la via della piccolezza il Verbo di Dio, diventa il garante di un’alleanza migliore tra Dio e l’umanità: lo abbiamo letto nella seconda lettura, “perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore”.
Oggi siamo ancora nel segno di Giovanni il Battista, il Precursore, colui che deve preparare la strada all’incontro con Gesù, all’incontro di coloro che “si avvicinano a Dio per mezzo del suo figlio Gesù”. Il nome Giovanni significa, tra l’altro, la tenerezza di Dio.
Giovanni Battista si definisce come la «voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri» (Lc 3,4). La voce proclama la parola e la Parola di Dio scende su Giovanni, il figlio di Zaccaria, nel deserto. Il ruolo di Giovanni Battista è grande ma sempre in funzione di Cristo. Commenta sant’Agostino: «Giovanni è voce. Del Signore invece si dice: “In principio era il Verbo” (Gv 1,1). Giovanni è la voce che passa, Cristo è il Verbo eterno che era in principio. Se alla voce togli la parola, che cosa resta? Un vago suono. La voce senza parola colpisce bensì l’udito, ma non edifica il cuore» (Discorso 293, 3: PL 38, 1328).
A noi il compito di dare oggi ascolto a quella voce per concedere spazio e accoglienza nel cuore a Gesù, Parola che ci salva. In questo Tempo di Avvento, quando siamo ancora minacciati da questa epidemia, prepariamoci a vedere, con gli occhi della fede, nell’umiltà e nella piccolezza della Grotta di Betlemme che abbiamo allestito nei nostri presepi, la salvezza di Dio (cfr Lc 3,6). Teniamo viva la speranza del ritorno glorioso del Figlio dell’uomo. Gesù è vivo, è sempre vivo, egli intercede, si intromette, si fa mediatore, appoggia le nostre richieste, mette una buona parola per noi.
Giovanni il Battista ci insegna a vivere in maniera essenziale, a non riempire la nostra vita e soprattutto il nostro cuore, tanto da sentirci autosufficienti, non bisognosi di un salvatore. Anche il nostro Natale sia vissuto come la festa del Figlio di Dio che è venuto e tonerà a portare agli uomini il senso della storia, la vittoria del bene sul male, la pace, la vita e la gioia vera.
Tutto questo è possibile grazie a un germoglio, piccolo, fragile, ma che ha in sé stesso tutta la forza e la potenza della vita che rinasce.