pubblichiamo l’omelia di don Maurizio a commento del vangelo di oggi (Gv 11, 1-53)
La trasmissione della fede è una questione molto seria. Come abbiamo sentito nella prima lettura: “Quando tuo figlio ti domanderà, tu risponderai…”. I genitori dovranno spiegare con cura ai loro figli il significato dei comandamenti e far capire loro che l’osservanza di queste norme è connessa con l’azione liberatrice di Dio, dall’Egitto, ma da ogni forma di schiavitù, quindi è connessa con la felicità dell’uomo: “così da essere felici ed essere conservati in vita”.
Siamo nella domenica di Lazzaro. Abbiamo ascoltato nel vangelo l’ultimo dei segni compiuti da Gesù nella sua vita pubblica e destinato a suscitare la fede in molti presenti.
C’era una volta Lazzaro di Betania. Il nome significa DIO AIUTA e Betania significa CASA DEL POVERO… il Signore viene in soccorso di Lazzaro perché è un povero. Lazzaro rappresenta colui che è generato dallo Spirito mediante la Parola che è Gesù in persona. In questo siamo dunque invitati oggi a sentirci poveri, bisognosi di questa Parola efficace che è Gesù e che è capace di liberarci, di scioglierci dalla bende che ci imprigionano, di rimetterci nella vita in Dio.
Leggendo questo racconto comprendiamo senz’altro una cosa molto importante: si può essere amati da Gesù, come nel caso di Lazzaro da tutti riconosciuto uno degli amici più grandi di Gesù, ed essere malati, e soffrire, addirittura morire nel giro di pochi giorni! Una cosa non esclude l’altra. La malattia fa parte della condizione umana. Lontano dall’essere contraria alla relazione con Gesù la malattia di Lazzaro diventa invece occasione per delineare meglio la qualità di questa relazione.
Quando Gesù sa della malattia dell’amico Lazzaro resta ancora due giorni la dove era. Ovviamente questo provocherà un ritardo. Non è frutto di un’esitazione, provocata magari dalla paura di Gesù di tornare in Giudea, dove sapeva di andare incontro a rischi enormi per la sua incolumità.
Gesù ha atteso la morte di Lazzaro per approfondire la fede dei suoi discepoli. Ovviamente mettersi in cammino verso la casa di Lazzaro significa entrare già nella lotta che Gesù dovrà affrontare con la sua Passione. Tommaso è l’apostolo a servizio della pedagogia della fede e dice a voce alta quello che tutti pensano e dicono sottovoce: “andiamo anche noi a morire con lui… entriamo anche noi nella lotta”.
C’è una lotta da condurre per credere, è la lotta stessa di Gesù. Essere generati da Dio implica la lotta di Gesù contro la morte, che pure passa per la morte. Anche per noi credere comporta una lotta.
Il quarto giorno, quando cioè è ormai troppo tardi, finalmente Gesù arriva. Non ci sono più speranze. Gesù proprio in nome dell’amicizia che nutre per questa famiglia sarebbe dovuto venire prima, per scongiurare la sofferenza e la morte del fratello di Marta e Maria. Ma è proprio questo che Gesù vuole evitare: alimentare cioè l’idea che egli possa servire da talismano contro la sofferenza e la morte. Dio non risparmia ai suoi la prova della sofferenza e della morte. Ciò non è mai facile da vivere e da comprendere. Ma in questo racconto vediamo all’azione la pedagogia di Gesù. Vuole che la fede si purifichi dalla proprie rappresentazioni.
“«Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?»”. Gesù non dice che il credente non morirà. Lazzaro ne è la prova. Gesù distingue tra la morte fisica e la morte spirituale, la sola da temere. “Sora nostra morte corporale”, come la definiva San Francesco d’Assisi, non viene risparmiata al credente. Ma credere significa essere generati alla vita eterna di Dio, come frutto del battesimo di Gesù in Spirito Santo, che passa attraverso il perdono dei peccati, unici responsabili della morte spirituale, che consiste dunque nell’essere privati della vita eterna di Dio.
Ed è Marta che deve rispondere anche per noi alla domanda di Gesù: CREDI QUESTO? Lei di fronte al fatto gravissimo della morte del fratello deve passare attraverso la purificazione della propria fede: “«Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo»”.
È frequente che quando passiamo attraverso la prova della sofferenza, e a volte anche della morte delle persone che amiamo, di un giovane, di un innocente, spesso la nostra fede vacilla. Qualcuno addirittura arriva a non credere più. C’è da chiedersi allora in che cosa crediamo. In chi crediamo.