La Chiesa ambrosiana entra nel Sinodo. Sarà un Sinodo minore, quello indetto dall’Arcivescovo per affrontare ciò che non si può più definire solo una sfida della multietnicità posta alle comunità cristiane.
Eccellenza, abbiamo detto di un Sinodo minore per affrontare il tema della multietnicità, nemmeno più una sfida, visto che ormai è un fatto acquisito, sul quale però lei chiede di riflettere: in quali termini?
La mia riflessione, più che sociologica di una lettura della società, è motivata da un’intenzione di riconoscere la vocazione cattolica della Chiesa: cattolica vuol dire universale e universale vuol dire che tutti coloro che sono credenti in Cristo e che sono battezzati sono parte della Chiesa. Quindi la Chiesa assume le culture dei popoli, le accoglie, le rispetta, le trasforma e diventa una comunità. Come all’inizio si è fatta un’unica Chiesa tra quelli che venivano dal giudaismo e quelli dalle genti, così ancora oggi è unica, è unita con la ricchezza delle presenze. L’intenzione di questo Sinodo è di una riflessione, di avere linee pastorali per essere la Chiesa di oggi e di domani. Quindi non quella di ieri, che era molto più legata a un territorio e a un tipo di presenza, piuttosto la Chiesa in questo territorio dove tutti i cattolici si devono sentire parte.
È un’occasione di partecipazione, un cammino agile quello che si prospetta, con il coinvolgimento delle parrocchie a partire dal 14 gennaio, Giornata mondiale dei migranti, fino alla festa di San Carlo…
Sì, il Sinodo vuol dire ben questo: un cammino condiviso in cui tutti devono essere aiutati a esprimersi, a individuare le linee pastorali da formulare, da formalizzare e da raccomandare per il prossimo percorso di Chiesa. La consultazione, almeno nelle intenzioni, sarà di tutti, anche se passerà attraverso i Consigli diocesani (Presbiterale e Pastorale). Minore, perché vuole essere concentrato su una domanda, su un capitolo solo di tutto quello che normalmente costituisce un Sinodo diocesano, che ha l’intenzione invece di ridisegnare il quadro complessivo della pastorale diocesana.
Proprio le costituzioni sinodali andranno ad aggiornare quella parte del 47° Sinodo diocesano del 1995, che identificava la Pastorale degli esteri, a dire di come sia cambiata profondamente la realtà da allora…
Certo. Già la dizione “Pastorale degli esteri” rivela una situazione, mentre l’idea è quella di una Chiesa in cui tutti si sentano a casa propria e che accolga ogni abitante cattolico di questo territorio come parte viva della comunità e della sua azione pastorale, non semplicemente come destinatario di una particolare attenzione a motivo del fatto di essere venuto da un’altra terra. Questo è un cambiamento che mi sembra significativo e che deve aiutarci a vedere anche come cambia la prassi ordinaria della Chiesa, non solo come si aggiunge qualche particolare per mostrare attenzione a questi nostri fratelli che vengono da altri Paesi, ma che ormai intendono abitare qui ed essere parte viva di questa Chiesa.
(Radio Marconi – 3 dicembre 2017)