Una Chiesa senza la carità non esiste

Partecipato e molto sentito l’incontro di ieri sera con il Direttore della Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti. A margine, riprendiamo liberamente alcuni contenuti emersi durante la sua conversazione. Per un ulteriore approfondimento rimandiamo alla pubblicazione del prossimo numero di in Cammino, previsto in occasione della Festa della SS. Trinità, cui è intitolata la nostra Comunità Pastorale (domenica 27 maggio).

«La Caritas è la carezza della Chiesa al suo popolo; la carezza della Madre Chiesa ai suoi figli […]. La Caritas è l’amore nella Madre Chiesa, che si avvicina, accarezza, ama.»

(Papa Francesco nell’incontro con il Comitato esecutivo di Caritas Internationalis del 16 maggio 2017).

La Caritas è un frutto del Concilio Vaticano II. Nasce nel 1971 per volere di Paolo VI : nel pensiero del pontefice la Caritas doveva avere una funzione pedagogica, cioè educativa. Primo scopo della Caitas è pertanto educare prima di tutto la comunità cristiana e, come conseguenza, quelli che sono i primi destinatari di Caritas: i poveri, gli emarginati, gli stranieri, i senza dimora, le vittime di tratta, le persone separate …

La Caritas, in ogni sua azione, ha due destinatari: i poveri e la comunità. Gli operatori Caritas sono da considerarsi degli educatori alla Carità e lo scopo della Caritas è coinvolgere la comunità per sensibilizzarla e aiutarla ad aprire gli occhi sulle difficoltà del prossimo, chiunque esso sia, senza distinzione di razza, colore, nazionalità. Siamo tutti figli di Dio e fratelli, unica è la famiglia umana di appartenenza, nessuno ne è escluso.

La sua principale mission non è quindi l’aiuto diretto, concreto, immediato ai poveri, ma l’azione pedagogica e pastorale. Caritas (termine che dice grazia, gratuità, affetto)  è un’esperienza di tenerezza, fatta di incontro, condivisione, partecipazione, scambio reciproco affinché le persone e le comunità vengano coinvolte e sensibilizzate.

Da queste premesse discende uno stile: andare e incontrare le persone non da ricchi – di mezzi, di idee, di verità –  ma da poveri, per accogliere, ricevere e imparare dalle storie e dalle vite della gente; trasformare l’incontro con le povertà in occasione di crescita e maturazione della comunità.

Fare Caritas implica uno sguardo ricco di fede, di fiducia nei confronti della realtà e delle comunità, ricche di potenzialità ancora inespresse e sopite. Nessuna delega e nessun ricorso a mezzi facili, ma disponibilità a imparare e  condividere quello che si è e quello che si possiede.

I poveri hanno un volto e una storia: non sono numeri, né massa informe. Impariamo a chiamarli per nome, a RI-CONOSCERLI. La Caritas diventi un luogo dove stabilire relazioni umanizzanti, dove non c’è chi serve e chi è servito, dove non c’è il volontario da una parte e il beneficiario dall’altra. In Caritas si condivide, si costituiscono gruppi di aiuto reciproco dove tutti sono portatori di povertà e tutti sono portatori di risorse. In Caritas si vive  una dinamica di aiuto reciproco.

Abbiamo aperto con le parole di papa Francesco e con lui vogliamo chiudere:

«La spiritualità della Caritas – ha proseguito nel suo discorso al Comitato esecutivo di Caritas Internationalis – è la spiritualità della tenerezza e noi abbiamo escluso dalla Chiesa la categoria della tenerezza. A volte la nostra “serietà”, tra virgolette, di fronte alla pastorale, ci porta a perdere questa categoria, che è la maternità della Chiesa! La Chiesa è madre, fondamentalmente madre. E questa caratteristica della tenerezza è per me il nucleo al quale deve riferirsi la spiritualità della Caritas: recuperare per la Chiesa la tenerezza».

a cura di F. A. F.

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