QUALE EUROPA? un confronto tra l’Europa di ieri e quella di oggi. Intervista a Giuseppe Riggio S. J.

1 Giuseppe Riggio Sj nasce a Messina nel 1976. Si laurea in Giurisprudenza e si specializza in politiche dell’Unione europea. Dopo aver lavorato per quattro anni nel campo delle relazioni industriali, è entrato nella Compagnia di Gesù nel 2003. Dal gennaio 2015 è caporedattore della rivista Aggiornamenti Sociali.

Perché nasce l’Unione Europea?

L’Unione Europea nasce 70 anni fa, in una situazione dal punto di vista storico, sociale ed economico molto diversa da quella che viviamo oggi, per questo non se ne colgono subito il senso, l’utilità e l’efficacia. L’U.E. è nata come strada per realizzare un progetto di pace e benessere economico per un’Europa piegata e divisa dopo i due conflitti mondiali. La Comunità europea del carbone e dell’acciaio (trattato di Parigi del 18 aprile 1951) è stato il primo passo di questo progetto, voluto soprattutto da parte dei governi di Francia e Germania, che si erano a lungo fatti guerra. L’idea sottostante era di passare da una logica di conflittualità e concorrenza tra gli Stati, ad una in cui si lavora insieme anche sui temi più sensibili, oserei dire essenziali, dal punto di vista nazionale, come potevano essere la messa in comune del carbone e acciaio, risorse centrali per l’industria bellica del tempo.

Quali sono stati, e sono, i vantaggi per gli Stati europei?

Sicuramente la pace. Va dato atto che l’intuizione che ha mosso i padri fondatori si è rivelata lungimirante visto che dalla conclusione della seconda guerra mondiale i paesi che fanno parte dell’Unione Europea sono stati teatro di altri conflitti.

Un altro obiettivo era legato al contesto politico del tempo, che vedeva l’Europa divisa in due: una parte rientrava sotto la sfera di influenza dell’Unione sovietica e un’altra sotto la sfera degli Stati Uniti. Nel duro confronto tra queste due parti, gli stati occidentali cercarono un contrappeso da opporre all’est che non fosse dato solo dall’alleanza militare della NATO e lo trovarono nella realizzazione di una convergenza economica nel mercato comune per porre le basi di uno sviluppo più diffuso e solidale. D’altronde, anche questo aspetto era essenziale per porre le basi di una duratura pace nel continente. Possiamo quindi descrivere l’Europa come un progetto politico condiviso, che si è realizzato attraverso vari mezzi, tra cui anche quelli economici. Oggi, però, l’economia rischia di essere percepita come la questione centrale, spesso fine a se stessa, che finisce per creare tensione, snaturando così il progetto dell’Unione Europea delle origini.

Qualche idea per delineare/ interpretare la crisi dell’Europa in questi anni?

Mi sembra che la crisi dell’Europa di questi anni sia condizionata da due fattori:

Interni (li sintetizzo in due eventi):

 

Il primo è il processo che si innesta con la caduta del muro di Berlino, ovvero il fatto che la cortina di ferro sparisce improvvisamente e così gli stati “inavvicinabili” dell’Europa centrorientale chiedono di poter entrare a far parte dell’U.E.. Lo fanno per ragioni diverse, sia politiche, cioè per difendersi dalle mire filo russe, sia economiche. Questi paesi si aspettavano di poter entrare più rapidamente nell’U.E., ma l’iter è stato lungo e hanno avuto l’impressione di essere sottoposti a infiniti esami. Dall’altro lato, i paesi della UE, che avevano considerato il crollo del muro il segno dell’affermarsi del modello democratico occidentale, si sono accorti che innescare processi democratici richiede tempo, sforzi e collaborazione, e gli esiti non sono scontati. Oggi constatiamo che l’allargamento della U.E. ai paesi dell’Europa centrorientale non si è ancora tradotto nell’adozione di una visione condivisa sul presente e l’avvenire. Nel processo di allargamento vi è stato una sorta di cortocircuito del quale constatiamo ora le conseguenze e si traduce in una situazione di debolezza dell’Unione, frammentata al suo interno da diversità di storia e cultura che non sono tenute insieme da una progettualità comune.

Il secondo evento è la bocciatura nel 2005 della Costituzione Europea da parte dei cittadini della Francia e dei Paesi Bassi, che ha significato una battuta di arresto notevole per quello che era un progetto di respiro comunitario al cui cuore vi era la promozione di una maggiore collaborazione tra gli Stati. L’accantonamento del progetto di Costituzione si è tradotto in una ripresa dello schema di negoziazione tra gli Stati, in cui inevitabilmente l’interesse dell’insieme della costruzione europea finisce in secondo piano. Quindi ci troviamo di fronte a una macchina europea che fatica a lavorare perché i meccanismi istituzionali si sono inceppati.

Esterni:

Come europei abbiamo vissuto situazioni di difficoltà legate alla scena internazionale. Penso alla crisi economica, a cui non abbiamo saputo dare una risposta pronta ed efficace, perché il sistema di governo dell’economia è parziale (abbiamo la moneta unica, ma non abbiamo un Ministro europeo dell’Economia) o alla crisi umanitaria dei richiedenti asilo. Altri eventi hanno scosso dalle fondamenta la casa comune europea, come l’esito del referendum britannico a favore della Brexit o il cambio nella politica estera statunitense impresso dalla presidenza Trump, che è più ostile alla collaborazione con altri Stati, inclusi gli alleati storici europei. Questi eventi, che si sono succeduti uno dopo l’altro, hanno mostrato – anche impietosamente – le attuali contraddizioni della costruzione europea, ma questo non è per forza un elemento negativo se riconosciamo ciò che non funziona e individuiamo delle soluzioni.

Si dice che l’idea di Europa originaria sia molto diversa da quella che viviamo oggi. Cosa ne pensa? Quali sfide?

Gli ideali di 70 anni fa non posso essere ridetti tali e quali, ma vanno riletti/tradotti per l’oggi. Le intuizioni dei padri fondatori dell’Unione Europea hanno ancora una grande rilevanza perché riguardano ciascuno di noi e la società nel suo insieme. L’idea originaria di Europa era basata sulla pace, le circostanze sono oggi molto diverse, ma l’importanza di questo tema non è certo venuta meno. Non più però come assenza di un conflitto bellico tra gli stati aderenti alla U.E, un esito che non è pensabile oggi. In Europa piuttosto c’è una situazione di diseguaglianza sociale notevole, che genera disagio e conflittualità all’interno dei singoli paesi. La pace allora va oggi compresa come pace sociale da realizzare attraverso una maggiore inclusione sociale. Allo stesso modo dobbiamo pensare a cosa significhi tradurre oggi un processo di benessere diffuso.

Come possiamo partecipare alla costruzione di un’Europa migliore?

Dopo 70 anni di partecipazione all’Unione Europea dobbiamo prima di tutto riconoscere che quello che quotidianamente viviamo è anche frutto di questa appartenenza.

Ma per poter dare un contributo per il futuro della UE ritengo che Il primo passo da compiere sia di conoscerla, di informarsi. Se non conosciamo una realtà, difficilmente ci sentiamo responsabili di essa. Conoscerla inoltre ci permette di poter contribuire a cambiarla, cogliendone le opportunità e i limiti.

Per informarsi sulla UE abbiamo alcuni mezzi agevoli, come l’applicazione CITIZENS’APP che permette di seguire le notizie sulle attività realizzate dalle istituzioni europee in tanti ambiti della nostra vita.

Cosa direbbe a un gruppo di giovani che iniziano a capire che è importante l’impegno per il mondo e la società, ma che sentono questo ambito lontano?

A costo di ripetermi dico ai giovani di informarsi e di impegnarsi. In questo momento in cui viviamo tante crisi, sperimentiamo il disorientamento, ma bisogna essere anche consapevoli che si aprano possibilità importanti di cambiamento. Ancora non riusciamo a misurare che cosa significhi la globalizzazione e la rivoluzione digitale, i cambiamenti in corso nel mondo del lavoro. Sicuramente il mondo in cui viviamo oggi è già profondamente diverso da quello che era soltanto dieci anni fa, e cosa ne sarà fra dieci anni non lo riusciamo ad immaginare. Però significa anche che le istituzioni sociali e democratiche stanno vivendo dei cambiamenti enormi e sono sottopressione.

Quando c’è una fase di cambiamento è il momento in cui si possono mettere le basi per realizzare qualcosa di nuovo. E’ la fase in cui – se ci si impegna e “si sta dentro” nelle questioni – si può trovare il modo di fare la propria parte, di contribuire ad indirizzare gli interventi.

Per questo il mio invito ai giovani è di non restate a guardare quello che accade perché avete concretamente la possibilità di inserirvi nei processi e di poterli influenzare, orientandoli verso ciò che vi sembra importante. Questo è un tempo che può disorientare, ma anche tempo propizio per essere attori che partecipano in prima persona ai cambiamenti in atto per realizzare un bene più grande, un bene che sia per tutti.

Francesca e Maddalena

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